A.N.N.A
Fondazione Collegio San Carlo, 31 marzo - 11 giugno 2017
L’installazione A.N.N.A. (Artificial Network Neural V.1.0), realizzata da Delumen per la Fondazione Collegio San Carlo, si presenta come un percorso immersivo: A.N.N.A interagisce attivamente con il luogo in cui si inserisce, la Sala dei Cardinali della Fondazione, e con lo spettatore-attore.
Utilizzando la tecnica del mapping procedurale, l’installazione sviluppa una sequenza di animazioni a partire da un’elaborazione dell’affresco della volta della sala, da cui discendono frequenze sonore che si legano in chiave sinestesica al movimento, al colore e alla dimensione dei contenuti grafici generati.
La sequenza audiovisiva, secondo una simulazione delle connessioni della rete neurale biologica, intende porre lo spettatore in un contesto di riflessione sulle dinamiche percettive, anche tramite la relazione con una pedana-specchio capace di dilatare illusionisticamente l’ambiente, restituendo agli osservatori una dimensione immaginaria dello spazio e una visione amplificata di sé. L’accesso attraverso la Galleria d’Onore della Fondazione è parte integrante dell’installazione, poiché rappresenta l’ingresso e l’uscita dall’opera e dal processo percettivo, in una logica di contaminazione che prevede la reazione sonora e luminosa dello spazio al passaggio.



L’installazione rientra nell’ambito della programmazione sul tema Tecnica. Forme di conoscenza e di costruzione del mondo, sviluppata dal Centro Culturale della Fondazione nell’anno accademico 2016/17 attraverso un ciclo di conferenze e una serie di workshop con le scuole superiori di Modena e provincia. Una riflessione storica e critica sul ruolo della tecnica è infatti apparsa necessaria: alla fine degli anni Dieci del XXI secolo si assiste a una costante evoluzione e ad una crescente incidenza dell’innovazione tecnologica sulle dinamiche sociali e sulle esperienze individuali.
Tecnica. Forme di conoscenza e di costruzione del mondo
F.A.C.E. (Facial Automaton for Conveying Emotions) è un automa facciale con un arto superiore inserito in una Umwelt minima, una nicchia, nella quale, proprio come un bambino, viene “cresciuto”. Nella sua nicchia l’automa viene sottoposto a un setting d’addestramento: F.A.C.E. deve saper imparare. Inoltre, F.A.C.E. vede, sente e si sente. L’automa è in grado di riconoscere le espressioni facciali del proprio interlocutore attraverso una rete neurale gerarchica e, mediante un sistema di rilevamento dei dati fisiologici dell’osservato, di fornire risposte espressive coerenti agli stati d’animo in gioco. F.A.C.E. è in grado di riconoscere e riprodurre sei espressioni facciali relative a sei diversi stati d’animo ed è in grado di associare queste espressioni al dato relativo allo stato fisiologico del suo interlocutore. L’automa, nella fase di training iniziale, viene sottoposto a stimoli ambientali che costituiscono la “materia” sulla quale plasma la propria struttura relazionale interna.
Questa fase, e più in generale ogni interazione ambientale, costituisce il mezzo attraverso il quale l’automa costruisce se stesso. F.A.C.E. impara proprio come un bambino che vede per la prima volta qualcosa che lo affascina e lo imita mediante una mimica “scimmiottante”. […]
[…] Il teorema delle idee viene introdotto come il metodo consueto consistente nell’ipotizzare una singola idea per ogni gruppo di oggetti ai quali si applica il medesimo nome. […] A questo punto entra in scena il celebre esempio del letto e del tavolo, ossia di un ente fabbricato artigianalmente. Platone intende stabilire la collocazione ontologica della mimesi artistica rispetto all’essere e alla verità e distingue per questo tre letti (corrispondenti a tre gradi di realtà): quello riprodotto mimeticamente dall’artista (guardando al letto particolare costruito dall’artigiano), quello sul quale dormiamo (fabbricato dal falegname avendo a modello l’idea del letto o meglio, come vedremo, la funzione che il letto deve assolvere), e, infine, quello vero e proprio, ossia il letto in sé, ciò che è veramente letto, l’idea del letto, la cui “generazione” viene attribuita a un misterioso demiurgo divino, chiamato anche phytourgos (596b-597d). La tesi che Platone, per bocca di Socrate, intende sostenere è molto celebre e altrettanto contestata; si tratta della teoria dei gradi di realtà (e dunque di verità), in base alla quale l’attività mimetica e i suoi prodotti sono dislocati a una distanza doppia dall’essere, sostanziato naturalmente dall’idea, occupando dunque la terza posizione (597e; 602c). Il senso del ragionamento platonico è dunque abbastanza semplice: i prodotti dell’arte imitativa costituiscono un’imitazione di qualcosa (i fatti e i comportamenti degli uomini) che è a loro volta imitazione di un livello ontologico superiore; sono perciò imitazione di un’imitazione e per questo risultano sostanzialmente estranei alla dimensione veritativa. […]

Il Catalogo di A.N.N.A.
Elio Franzini
Professore di Estetica presso l’Università di Milano
La produzione artistica del nostro tempo si caratterizza – come è noto – per la straordinaria varietà dei materiali adottati, che implicano una molteplicità di nuovi stili.
Un’opera d’arte non è più soltanto la riproduzione di una parte della realtà, bensì una sua essenziale porzione, in cui aiuta a immergersi, utilizzando anche elementi immateriali quali la luce, il vuoto e il suono. In questo modo si costringe lo spettatore a non essere passivo, bensì a partecipare all’opera, a “camminare” al suo interno, a diventare protagonista di una vera e propria performance, delle sue fasi e della sua evoluzione.
L’opera entra dunque in un più ampio spazio sociale ed essa stessa non è prodotta da un individuo “isolato”, ma da un gruppo, dove l’idea e le dimensioni tecniche tra loro si fondono originando un lavoro “collettivo” che si offre a sua volta a una collettività, aprendo una processualità nuova, forme di comunicazione che liberano le capacità espressive, la nostra volontà segreta di scavare nel possibile che è la trama del mondo.
Focus: l’anima e la τέχνη
Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento… l’esasperato potere concesso all’immaginazione e al genio e soprattutto il credo via via imperante nella concezione dell’“arte per l’arte” sembrano essere le cause del sorgere di quel concetto di “tecnica per la tecnica” ormai del tutto avulsa dal fare artistico […]. Sarà Antonio Banfi (1886-1957) in Italia, attraverso l’elaborazione di posizioni vicine a quelle di Simmel e di temi anticipati da Dessoir, a promuovere un razionalismo critico, nel quale si giustifica l’autonomia dell’arte, che non si spiega come una forma permanente dello spirito bensì nel senso di un empirico e multiforme manifestarsi dell’esperienza artistica. Tale esperienza non esclude, ma anzi richiede, la funzione universalizzante della ragione. D’altra parte il valore di un’opera d’arte è sempre il risultato di una molteplicità di fattori tra i quali, non ultimo, è quello tecnico.
Allegorie del contemporaneo
A.N.N.A., opera del collettivo Delumen, può senza dubbio essere letta all’interno di queste linee generali, cioè dell’evoluzione contemporanea dei modi della tecnica nei processi di elaborazione artistica. Tuttavia questa lettura, pur lecita, non è la sola possibile.
L’opera è un’installazione dove lo spettatore si immerge in una dimensione sinestetica grazie a strumenti tecnologici che elaborano informaticamente la decorazione della volta seicentesca della Sala dei Cardinali della Fondazione San Carlo di Modena.
Le elaborazioni computeristiche non sono tuttavia arbitrarie, ma sembrano richiamare idealmente elementi contenuti nell’affresco stesso, in primo luogo le sue quadrature, a loro volta illusionistiche e potentemente scenografiche, che inseriscono lo spazio in una dimensione immaginaria. Inoltre, l’acronimo del titolo dell’installazione è un nome femminile e questo rimanda al fatto che le essenziali figure allegoriche del dipinto, e in primo luogo quelle delle sette virtù, sono tutte incarnate da figure femminili, sovrastate da Minerva, protettrice delle arti e delle scienze.
A.N.N.A. diviene dunque, a sua volta, un’allegoria contemporanea del valore al tempo stesso illusionistico e conoscitivo dell’arte, della sua capacità di “mappare” il passato per restituirlo in un gioco in cui visibile e invisibile sono tra loro in un costante rinvio di significati e sensazioni. La “tecnica procedurale” usata da Delumen usa gli algoritmi che derivano dalla mappatura dei colori per restituire in modo immaginoso e coinvolgente forme e suoni che interpretano l’opera antica, che quasi ne rivelano magicamente la parte nascosta, non distruggendola, bensì mostrando le sue capacità autogenerative, quella forza di nascita e rinnovamento che scaturisce dalla femminilità.
Infine, invitando lo spettatore a cogliere il senso teatrale e quasi sacrale dell’installazione, che si traduce nell’“introibo” della Galleria d’Onore, ingresso che è già parte visiva e sonora dell’opera, gli artisti lo
inducono a “immergersi” in essa, a camminare sul grande specchio, che riflette ed elabora, insieme all’affresco della volta, noi stessi, il nostro corpo, la nostra vertigine, il senso ossimorico di pieno e vuoto, di instabilità e possesso che segna la nostra “presenza” in essa.

Dall’uomo alla tecnica. E ritorno
In questo modo possiamo comprendere che se la tecnica è indispensabile per la costruzione di un’opera, e in particolare di un’installazione complessa e sinestetica come A.N.N.A., il risultato finale non può essere ridotto a essa, portando al contrario sul senso genetico dell’immagine, quasi partendo dal presupposto che il rapporto tra l’occhio, l’immagine (e il suono) abbia una storia e ogni epoca, di conseguenza, debba “elaborarla”, inserendo in essa i suoi valori mitici, magici, culturali e sacrali.
Il senso dell’immagine, e il nostro rapporto sia ottico sia spirituale con essa, con la sua “visibilità” e con i suoi substrati “invisibili”, si è dunque modificato nel tempo, subendo tutte le conseguenze delle molteplici
e successive scoperte tecnologiche, arricchendo così le nostre possibilità visive. A.N.N.A. fa comprendere, mettendo in gioco anche i meccanismi neuronali della nostra percezione, che le immagini con cui
il mondo e la storia appaiono non sono né configurazioni che agiscono in base a immutabili principi, né un fluire di contingenze che hanno senso solo all’interno di specifiche “contestualizzazioni”: lo sguardo
che descrive ha un senso strutturale che articola la sua forma essenziale in atti radicati nelle qualità e nei valori che gli oggetti e le epoche sanno dispiegare.
Questa installazione induce a pensare che l’immagine artistica non è mai semplicemente una “riproduzione” del reale, bensì una sua interpretazione che ne afferra il valore espressivo: immagine, cose e sguardo non sono variabili impazzite bensì, nel loro coordinarsi percettivo, un modo privilegiato per comprendere la fenomenicità del reale, il suo essere “per noi”. Originano un “sapere” in cui l’immagine non è la “ripetizione” delle cose ma il luogo, e il tempo, in cui ne manifesta il senso espressivo, afferrandone quasi “il punto focale”.
Quel che A.N.N.A. dunque qui presenta non solo non è una “derealizzazione”, bensì si pone come punto di avvio per esibire il senso simbolico, espressivo e spirituale della percezione, per comprendere, infine, che dietro a essa si cela un potere che in vari modi media la relazione conoscitiva tra uno sguardo che afferra e un insieme di qualità che vengono apprese.
Elaborare le immagini significa voler preservare la memoria, quindi un’identità storica e culturale, in virtù della quale si cercano modi figurali per intrappolare il tempo nello spazio, nella forma, ormai sempre
più indefinita, di un’immagine rappresentata. La rappresentazione è allora qui il tempo-spazio mobile grazie al quale si rende presente l’assente, giocando su due piani, quello di una magica evocazione e di
una vera e propria sostituzione oggettuale.

- Massimo Bucchi, Per un pugno di idee. Storie di innovazioni che hanno cambiato la nostra vita, ebook 2016
- Nello Cristianini, Machina sapiens: l’algoritmo che ci ha rubato il segreto della conoscenza, 2024
- Franco Ferrari, Il problema dell’esistenza di idee di artefacta, in Platone, La Repubblica, a cura di M. Vegetti, 2007, pp. 151-171
- Carlo Galli, Il disagio della democrazia, 2011
- D. De Rossi e A. Fornai, Una macchina presente: una moderna anatra di Vaucanson, in V. Gessa Kurotschka e G. Cacciatore, a cura di, Saperi umani e consulenza filosofica, 2007, pp. 137-144
- Giuliano Pancaldi, Volta. Science and Culture in the Age of Enlightenment, 2003

