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Il mondo di fronte alle epidemie

Tra 1854 e 1855 una nuova epidemia di colera raggiunse l’Europa. Partì dall’India, viaggiò sulle navi fino ai porti inglesi e a Marsiglia e da qui giunse in Italia. Ne troviamo numerose testimonianze nelle narrazioni dell’epoca: fu particolarmente cruenta.

Negli stessi anni gli studi intorno a questo morbo si trovarono a un punto di svolta che, tuttavia, fu compreso solo parzialmente.

L’anno precedente, infatti, l’anatomista e patologo italiano Filippo Pacini aveva osservato per la prima volta il batterio del colera. Questa osservazione non sembrò però avere conseguenze pratiche e fu necessario attendere quasi trent’anni e i nuovi studi, svolti nel 1884 dal medico tedesco Robert Koch, perché il problema venisse affrontato in modo sistematico fino a portare alla formulazione di una cura e a concrete pratiche di prevenzione.

1 . L’Ottocento: la gestione politica dell’epidemia

Luigi Manzini, ritratto di Luigi Giacobazzi, particolare,1852 – Modena, Fondazione Collegio San Carlo

In merito alla prevenzione o quantomeno al contenimento del contagio la politica non fu certo silente. Nei territori estensi il conte modenese Luigi Giacobazzi, già allievo del Collegio San Carlo e titolare del dicastero di Massa e Carrara per i duchi d’Este, fu coinvolto nelle decisioni riguardanti proprio i tentativi di arginare la diffusione del colera e che riguardavano, come è naturale immaginare, il controllo della popolazione e la gestione dei commerci. Il delegato del Ministero dell’interno scrisse al conte Giacobazzi che si potevano annoverare, tra i fattori di possibile diffusione del colera, anche particolari condizioni climatiche verificatesi nella regione appenninica durante l’estate del 1855: piogge insistenti, variabilità atmosferica, venti di mezzogiorno…

Focus: le colpe degli stravizi

Nel corso dell’Ottocento il colera, originario dell’area del delta del Gange, colpì Europa, Africa e Americhe più volte: sono state segnalate almeno sette pandemie, ciascuna della durata di più anni. Malattia insidiosa dal decorso rapidissimo e talvolta mortale, era naturalmente al centro delle ricerche della medicina. Veniva fronteggiata con preparati galenici e intorno ad essi i medici del tempo, impreparati di fronte ad un morbo nuovo, procedevano per tentativi.

Tommaso Maranno, Le mie convinzioni sul cholera morbus, 1872

[…] l’adirarsi, l’inquietarsi, l’ipocondria, il timore, la paura, il terrore, lo spavento … sono colpi tali da produrre un Cholera tanto forte da non valervi alcun rimedio. Il respiro di aria corrotta, putrida, paludosa, di acque stagnanti […] L’esporsi sudato alla corrente di aria fresca. Il defaticarsi molto. Gli stravizi di ogni genere. La perdita del sonno. La mancanza del moto: i cibi guasti, corrotti: l’abuso delle frutta e degli erbaggi.

2 . La protezione divina

targa con il monogramma IHS, 1855 – Modena, Fondazione Collegio San Carlo

Come scoprirono proprio Pacini e Koch, le condizioni esterne alimentavano l’epidemia, ma non ne erano la causa prima. Frenati dalla mancata comprensione, da parte del mondo scientifico, della portata delle scoperte di Pacini, gli amministratori mantennero l’attenzione puntata proprio sugli agenti esterni, un atteggiamento che tuttavia rendeva pressoché impossibile fronteggiare il colera in modo adeguato.

In attesa di risposte realmente efficaci derivanti dal riconoscimento della portata decisiva degli studi del patologo italiano, ai modenesi non rimase altro che affiggere targhe con il monogramma di Cristo alle pareti delle case sperando, se non nella medicina, almeno nella protezione divina.

Focus – la peste di Marsiglia del 1720

Anche stasera nella chiesa di San Carlo la veglia per la peste di Marsiglia - 29 novembre 1720 
Le autorità modenesi, dopo aver tenuto nascosta nelle ultime settimane la gravità della situazione francese per non allarmare la popolazione, hanno diramato nei giorni scorsi una allerta che riguarda qualunque contatto con merci e persone provenienti dal sud della Francia e che arrivano, via mare o via terra, dalla Provenza.
All’inizio di giugno era infatti arrivata notizia che la nave Grand-Saint-Antoine, attraccata a Marsiglia il 25 maggio scorso, ha portato con sé fra i tessuti anche le pulci dei topi infettate dalla peste. Nonostante le prescrizioni di quarantena rigidissime il morbo ha iniziato a diffondersi in città e nelle zone vicine. Il capitano della nave, Jean-Baptiste Chataud, è stato sottoposto ad arresto preventivo come il vice sindaco, Jean-Baptiste Estelle, ed entrambi sono in carcere all’Arsenal di Marsiglia anche se non esistono ad oggi prove stringenti a loro carico.
La gravità della situazione, chiara alle autorità francesi fin da subito, è in realtà emersa e filtrata dalla polizia francese solo nelle settimane successive. Il Duca, non soddisfatto dei dispacci ufficiali, ha deciso nelle scorse settimane di indagare in proprio inviando agenti sotto copertura i quali, secondo quanto si apprende dalla nota ufficiale proveniente da palazzo, hanno scoperto la realtà della situazione.
Un secondo agente, tornato solo la settimana scorsa dopo essere stato perso di vista nel quartiere marsigliese della Tourette, ha riportato ulteriori testimonianze che hanno dissipato qualunque dubbio circa la necessità di informare la città. I due agenti sono tuttora in quarantena.
Il clero marsigliese alterna le preghiere e le veglie all’assistenza ai malati ma per ora il contagio non sembra dare tregua.
Il Capitolo della Cattedrale di Modena ha indetto un triduo con l’esposizione della reliquia del braccio di San Geminiano; un secondo triduo è stato indetto nella chiesa del Voto con l’esposizione del Santissimo tutto il giorno. Fa eco a queste iniziative la chiesa di San Carlo che da tre giorni a questa parte ha esposto a sua volta l’ostensorio con il Santissimo per una veglia di preghiera continuata. Questa sera sarà presente il Vescovo per la benedizione solenne, con assistenza dei canonici e alla presenza della Corte. Per accompagnare la preghiera anche nelle ore notturne l’altare maggiore è stato fornito di 45 candele.

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Focus: il vaccino contro il vaiolo. Dalla filosofia alla pratica

Trovare in una pubblicazione di saggi filosofici un calcolo delle probabilità relativo alla prima forma di “vaccino” contro il vaiolo sarebbe oggi impensabile, eppure nel 1767 le riflessioni di ambito medico erano ancora comprese nell’ambito filosofico. Nel caso specifico l’autore riflette su vantaggi e svantaggi dell’auto-infezione volontaria da vaiolo, praticata inizialmente in India e poi importata in Europa come tentativo di protezione da una malattia estremamente diffusa e, nel XVIII secolo, la prima causa di morte in Europa, oggi diventata la prima debellata a livello mondiale proprio attraverso una campagna vaccinale estesa e costante.

Riflessioni filosofiche e matematiche sull’applicazione del calcolo delle probabilità per l’inoculazione del piccolo vaiolo, 1767

Una parte di questo scritto è stata letta all’Accademia Reale delle Scienze di Parigi nel 1760… e stampata oggi con molte aggiunte che ne fanno come un’opera nuova. Le circostanze presenti sono sembrate favorevoli all’autore per sottomettere le sue riflessioni al giudizio del pubblico: la questione sull’Inoculazione è più dibattuta in Francia che mai, è diventata un affare di sinistra e l’oggetto di una disputa violenta.

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3 . Il Seicento: governare l’ingovernabile

La consapevolezza della necessità di gestione politica delle epidemie era ben presente da tempo. Significativo, a questo proposito, il trattato che Lodovico Antonio Muratori dedicò al “governo della peste”, da conservarsi ed aversi pronto per le occasioni, che Dio tenga sempre lontane.

Il trattato – che potete leggere qui nella versione a stampa e qui nella versione manoscritta – si apre con una lunga discussione relativa proprio alla gestione politica del contagio per passare solo in seconda battuta alla gestione medica e, infine, alla questione religiosa: impossibile non pensare alle intense pagine sulla peste di Milano contenute nei Promessi Sposi.

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Focus: Muratori e il governo della peste

Il celebre storico e letterato modenese Ludovico Antonio Muratori riassume qui secoli di tentativi di arginare un male che ciclicamente investiva zone più o meno vaste del continente, dando per assodata la raccomandazione principale per evitare il diffondersi del morbo, di qualunque natura si tratti, ovvero stare lontani dall’affollamento e non avere contatti con persone ammalate. Raccomandazioni che sembrano superflue ma che non lo sono del tutto: anche nel Settecento, come oggi, in alcuni casi andavano imposte. Cambiano tuttavia le misure: all’epoca la punizione più grave che poteva essere comminata a chi veniva sorpreso in flagranza di reato era la scomunica.

Ludovico Antonio Muratori

Certo altresì ha da essere, che il non aver paura, o l’occultarla , quello sarebbe uno spedirle [alla peste] solenne ambasciata, invitandola a venirci a visitare il più presto che ella può. E perciò ogni ragion consiglia l’imitare in altre simili congiunture più tosto i rigori, benché forse superflui, ed anche molto dispendiosi, ultimamente praticati da parecchie Città della Germania, e dell’Italia, che l’uso di altri Popoli men paurosi, o meno guardinghi.

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Focus: Defoe e il racconto della peste di Londra del 1665

Daniel Defoe, Diario dell’anno della peste, ed. 2014

Focus: la peste del 1630

Il medico e filosofo Alessandro Guidoni compilò questo breve vademecum e lo diede alle stampe in Modena nel 1630, l’anno in cui la peste colpì più duramente Milano e l’Italia del nord. Non conoscendo l’origine né il mezzo di trasmissione della morbo il medico ipotizzò, come molti al suo tempo, che le cause dovessero cercarsi nell’aria, nell’acqua o in svariate esalazioni pestilenziali. L’opera è impostata con criteri razionali – da dove proviene la malattia, come riconoscerne i segni, come evitarla, come curare chi ne è colpito – e ne emergono l’inadeguatezza e l’impotenza della medicina dell’epoca di fronte all’avanzare delle epidemie.

Alessandro Guidoni, Vera regola, che ogni persona deve osservare per conservatione della sanità in tempo di peste, 1630

Quello che ciascheduno in quel tempo deve fare, è andare in luogo dove non vi sia la malattia, né vi sia stata. […] E’ da avvertire, che l’aria corrotta è causa comune della peste. Ma poiché, essendo che siccome è impossibile separare la respirazione dalla vita, e la vita dalla respirazione, così è impossibile vivere senza aria, e goder l’aria senza vita, come conferma Galeno. [Bisognerà quindi] cominciare dall’aria, purificandola con fuoco di quercia, o di lauro, di mirtillo, o ginepro, o cedro…

Focus: Carlo Borromeo a Milano, 1576

Sigismondo Caula, San Carlo Borromeo comunica gli appestati, particolare, 1675 – Modena, Chiesa di San Carlo. Di questo dipinto le Gallerie Estensi conservano il disegno preparatorio e il bozzetto

4 . Il mondo antico: le radici profonde della paura

Del resto proprio la peste fu la malattia contagiosa per antonomasia: più di ogni altro malanno, il morbo portato dalle pulci dei topi (o una malattia che possiamo identificare come tale a partire dai segni esteriori che ci vengono raccontati nelle cronache) colpì ripetutamente l’Europa, l’Asia e l’Africa del nord fino a tempi relativamente recenti, scavando solchi profondi nell’immaginario, nella cultura e nella società.

Sebbene non tutte le epidemie del mondo antico si possano identificare chiaramente come ciò che oggi noi conosciamo come peste, di fatto esse passarono alla storia come pestilenze e colpirono la società al punto da mutare più volte il corso almeno della storia europea, a partire dall’Atene del 430 a.C.

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Focus: Atene, il nemico bussa alla porta

Tucidide, La guerra del Peloponneso.
  • Emanuele Stolfi, Come si racconta un’epidemia. Tucidide e altre storie, 2021 – Il libro, mantenendo uno stretto contatto con le fonti, ma nel modo più piano e accessibile anche per i “non addetti ai lavori”, propone un percorso nella letteratura classica per seguire le narrazioni che gli antichi elaborarono delle loro epidemie (reali o immaginarie). Dal resoconto più “moderno”, quello di Tucidide, si procede a ritroso sino all’inizio dell’Iliade, per poi passare all’Edipo tiranno di Sofocle e al poema Sulla natura delle cose di Lucrezio. Viene così offerta, accanto a una ricostruzione storica dei vari morbi, soprattutto un’analisi delle interpretazioni che essi suscitarono: con approcci anche sensibilmente diversi, ma quasi sempre riconducibili ad alcuni quesiti e motivi di fondo. Così la “peste” si fa questione etica e talora religiosa, ancor prima che biomedica, interagisce col potere e interpella molteplici saperi, per assurgere a metafora potente e polisemica, oltre che costituire un male ricorrente, per vari aspetti accostabile alla guerra. Impostazioni e chiavi di lettura che, al di là dell’enorme distanza degli scenari materiali e cognitivi, hanno ancora molto da dire per chi rifletta criticamente sulla drammatica esperienza della pandemia di Covid-19.