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Lazzaro Spallanzani

1. La formazione, Laura Bassi e la fisica

Lazzaro Spallanzani nasce a Scandiano, presso Reggio Emilia, nel 1729. Studia dapprima con un sacerdote di Scandiano e poi presso i Gesuiti. Il padre, notaio, vorrebbe che il figlio continuasse la sua attività e a questo scopo lo instrada verso la celebre facoltà di Giurisprudenza di Bologna.

Nella stessa Bologna, però, Lazzaro entra in contatto con Laura Bassi, nata nel 1711, la quale si era distinta fin da giovane per le sue capacità in ambito fisico-matematico tanto da arrivare a laurearsi in Filosofia nel 1732 grazie ad un progetto del cardinale Prospero Lambertini. Il futuro papa Benedetto XIV voleva ammodernare l’immagine della Chiesa anche a livello internazionale: far laureare una donna si inseriva in questa politica di nuova immagine dello Stato pontificio. Laura Bassi riceve anche un incarico di insegnamento di filosofia ma la sua condizione di donna le impone a lungo un’attività di insegnamento in casa. Nel 1745 entra a far parte dell’Accademie delle Scienze, una istituzione parallela all’Università, fondata all’inizio del secolo da Luigi Ferdinando Marsili.

Spallanzani entra nell’orbita intellettuale di Laura Bassi al punto da divenire ospite quasi fisso nella sua abitazione dove la scienziata, insieme al marito Giuseppe Veratti, medico e professore di fisica, ha organizzato un laboratorio di fisica newtoniana con dimostrazioni al pubblico.

E’ qui che il giovane studioso reggiano si appassiona allo studio della fisica e decide di farne una professione: alla tarda età di 24 anni, nel 1753, si iscrive alla facoltà di Filosofia.

Essendo giunto relativamente tardi ad abbracciare l’ambito scientifico Spallanzani non può contare su una formazione sistematica e specifica. Questa caratteristica, anziché ostacolare la sua carriera, probabilmente lo agevola nell’indipendenza rispetto alle dottrine allora predominanti, individuabili nell’epigenesi e nel preformismo.

Dopo i primi anni di incertezze, nel corso della sua carriera scientifica rifiuta di avallare, e talvolta perfino di prendere in seria considerazione, le idee di autori che non appoggiano le loro teorie sull’osservazione diretta della natura o che attribuiscono quanto accade agli organismi viventi a forze ipotetiche e non documentabili, non riconducibili in modo sicuro e inequivocabile a leggi chimico-fisiche.

Ben presto si aprono per Spallanzani le porte di quella che sarà una brillante carriera universitaria. Nel 1758 viene nominato professore di fisica all’Università di Reggio, fondata da poco, dove incontrerà fra gli altri anche il collega, e poi amico, Bonaventura Corti.

Lazzaro Spallanzani ad Antonio Vallisneri, 22 Aprile 1757

Codesto Monsignor Castelvetri dopo varie pressure a me fatte, finalmente mi ha obbligato a prendere la Cattedra di Fisica in questa Università di Reggio, l’anno venturo

Possiamo seguire la trama dei suoi interessi attraverso la corrispondenza che intrattiene con i maggiori scienziati dell’epoca e che caratterizza, come un filo continuo, l’intera sua attività prima a Reggio, poi a Modena, infine a Pavia. Lo aiuta in questo l’evidente padronanza della lingua della scienza e della cultura dell’epoca, il francese.

Focus: l’esplorazione del lago di Ventasso

Lazzaro Spallanzani scrive spesso ad Antonio Vallisneri “il giovane”, che era stato suo padrino e mentore, per tenerlo informato circa le sue scoperte e aggiornarlo sugli esperimenti.  Nell’estate del 1761 Spallanzani, come i migliori “esploratori” della sua epoca, parte alla volta del lago di Ventasso per cercarne la sorgente, un metodo sperimentale paragonabile alla ricerca delle cause dei fenomeni osservati in laboratorio.

Lazzaro Spallanzani ad Antonio Vallisneri, estate 1761

Signor Cavaliere Veneratissimo,
s’io ho differito fino al presente ad adempiere il mio dovere (di risponderle) è stato perché ho fatto in compagnia del Governatore delle Carpineti un viaggio montano nelle Alpi dell’Appennino, nel quale vi ho speso lo spazio di 15 giorni. Laboriosissima mi è stata la strada, per aver dovuto camminar sempre per balze, per dirupi, e per sommità altissime di monti: ciò non ostante me ne trovo contentissimo … giacché camminando in quelle parti degli Appennini dove non è andato suo Signor padre, ho fatto parecchie scoperte naturali, che sembrami dare moltissimo peso al già approvato vallisneriano sistema dell’origine delle fontane. In fine ci siamo portati al celebre lago di Ventasso, e per via d’una zattera formata di tronconi di faggi, ci è riuscito felicemente di scandagliare la profondità per ogni verso nell’ampia estensione di otto biolche, suo ordinario perimetro, stupendo quei montanari, e alpestri pastori, come di cosa non mai tentata non che effettuata a memoria d’uomo. Abbiam pure trovata l’origine del lago derivante da due fonti, che traggono la loro nascita da acque impaludate in catini, e affossamenti che giacciono quasi alla cima del monte. Ho notato tutto esattissimamente, e ho fatto fare al detto Governatore, che è anche agrimensore, la mappa de’ monti più rilevanti, e del lago medesimo.

2. Modena, lo Studio e il Collegio San Carlo

Anonimo, Ritratto di Lazzaro Spallanzani, Modena, Fondazione Collegio San Carlo

25 Giugno 1763, in casa (AsFSC, 12.2, Carteggio relativo all’Università)

Allo Stimat[issi]mo Sig. Rettore del Colleggio de’ Nobili, e dell’Università di S. Carlo tiene ordine il Segret[ari]o Bianchi di partecipare, che intesa S. A. Ser[enissi]ma qualmente il Canonico Tori non compie, ne può compiere per cagione degli incomodi che soffre all’impegno della Lettura di Filosofia, in cui si trova, si è degnata di spiegare essere sua mente, che per il nuovo Anno Scolastico si chiami, e si sostituisca in di lui luogo il Sacerdote Dottore Lazaro Spalanzani Professore della stessa facoltà, e di Lingua greca nel Colleggio, ed Università di Reggio, ben persuadendosi S.A.S. Ser[ma] che non sarà Egli alieno dal prestarvisi, e che sodisferà all’incarico con pontualità, e con lode distinta. Coerentem[ent]e a questa Sovrana provvida determinazione a vantaggio Pubblico sarà contento lo Stimat[issi]mo Sig. Rettore di combinarne l’adempimento dandone l’aviso rispettivamente al Canonico Tori, e al d.re Spalanzani sud[ett]i, mentre chi scrive si rassegna suo obb[edientissi]mo Servit[or]e
Per lo Stimat[issim]o Sig. Dottore Malmusi Rett[or]e del Colleggio.

Nel 1763 Lazzaro Spallanzani viene chiamato a Modena per insegnare allo Studio pubblico – come veniva chiamata l’Università – e nel Collegio San Carlo:

Cronaca manoscritta … I Gennaio 1762 al 20 Giugno del 1769 (ASFsC, 24.1 segn. 2)

[p. 32] luglio 1763. Chi scrive le presenti memorie non lascia di notare che nella sera dei 17 entrò Sacerdote di casa il S. D.r don Lazzaro Spalanzani scandinanese in qualità di pubblico Lettore di filosofia nella Università in luogo del Sig. Canonico Cammillo Tori, che per ordine del Sig. Duca ha dovuto dimettere la Cattedra a motivo di sue indisposizioni, e in qualità ancora di Professore di Lingua Greca, e di Matematica nel Collegio […]
Intanto nel tempo di Villa fa scuola ai Convittori grandi e gli detta la storia naturale degli insetti con particolar piacere, e profitto dei Signori, che gliene fanno i dovuti elogi. Il sig. D. Boccolari a vicenda pure detta scritti di filosofia morale, e così restano proveduti li convittori di tutti i mezzi per fare profitto anche nel tempo della Villeggiatura.

Tuttavia non abbandona gli studi né i contatti con gli scienziati europei fra i quali si andava distinguendo come uno dei più brillanti protagonisti del dibattito in corso.

L’ingresso di Spallanzani nella storia della biologia si può infatti far risalire ufficialmente al 3 febbraio 1761. E’ questa la data riportata sulla celebre lettera scritta in Reggio “l’ultimo dì di carnevale” e indirizzata ad Antonio Vallisneri jr per chiedere in prestito il “Buffon sopra la generazione” – vale a dire il secondo volume dell’Histoire Naturelle di Georges Louis Leclerc, conte di Buffon – e le Observations Microscopiques di John Turberville Needham, le opere che intorno alla metà del XVIII secolo avevano riportato in auge la teoria della generazione spontanea.

3. La generazione spontanea e la strada verso Pasteur

Leonardo Salimbeni, Sulla eterogenia ovvero sulla generazione spontanea, 1863

Da lungo tempo l’uomo, avido di sapere, studiava il fenomeno della generazione e cercava di rapire alla natura il segreto delle riproduzioni animali e vegetali. Soltanto quando si imparò ad osservare, si vide che gli individui di una data specie procreano individui della medesima specie.

La storia della teoria della generazione spontanea, o abiogenesi, nasce molto lontano nel tempo. Fin dall’antichità si pensava che i microorganismi potessero svilupparsi a partire da altre sostanze inerti, come il fieno umido, il fango o la carne in putrefazione.

Nelle Esperienze intorno alla generazione degli insetti, saggio dato alle stampe nel 1668, il medico toscano Francesco Redi (1626-1697) prova a confutare questa teoria, ponendo vari frammenti organici in contenitori aperti, chiusi con garza o sigillati. Dimostra in questo modo che i vermi nascono solo là dove era stato possibile, per le mosche, depositare le uova, ovvero che la vita nasce solo dalla vita: la questione sembra definitivamente risolta.

Il progresso nella qualità delle lenti da microscopio e, di conseguenza, il dischiudersi di un mondo sconosciuto sono al centro degli esperimenti non solo degli scienziati ma anche di altre figure apparentemente lontane dal mondo accademico o universitario. Paradossalmente proprio la possibilità di indagare un mondo fino a quel momento sconosciuto grazie al costante miglioramento delle lenti da microscopio anziché fornire prove sempre più puntuali della posizione di Redi ne rimette in discussione gli assunti: la questione della generazione spontanea viene riaperta.

Il 9 ottobre 1676 Anton van Leeuwenhoek (1632-1723), un mercante di tessuti olandese, scrive una lettera alla Royal Society di Londra, con la quale corrispondeva abitualmente. Questa lettera è destinata a cambiare il corso della microbiologia: egli riferisce d’aver osservato per la prima volta, al microscopio, microorganismi unicellulari dei quali fino a quel momento si ignorava l’esistenza.

Naturalmente la risonanza di queste nuove osservazioni percorre le strade europee. Molto più tardi l’abate inglese John Needham (1713-1781), interessatosi anch’egli alla questione della generazione spontanea, conduce altri esperimenti e osserva, in contenitori sigillati e scaldati ma non bolliti, la presenza di questi microorganismi che ora è possibile vedere. Conclude quindi che questi “animalucoli” non vengono mai generati da loro simili, i quali non possono entrare nei contenitori sigillati, e dunque si generano spontaneamente.

Needham trova ampio ed entusiastico appoggio alle sue teorie nel naturalista francese Georges Leclerc conte di Buffon (1707-1788) il quale nella sua Storia Naturale, monumentale opera in 36 volumi pubblicata a partire dal 1749, inserisce una descrizione degli infusori secondo la teoria della generazione spontanea.

Nel 1761 Spallanzani si procura, come abbiamo visto, le opere di Needham e di Buffon, passa mesi a ripetere più e più volte gli esperimenti dell’inglese e pensa, in un primo momento, che entrambi abbiano ragione.

Tuttavia qualcosa non torna.

Sia Buffon che il matematico, filosofo e naturalista Pierre-Louis Moreau de Maupertuis (1698 – 1759)  basano le loro teorie su un lavoro di carattere più intellettuale e non sull’osservazione, caratteristica invece sia del lavoro di Needham sia del suo modo di procedere.

Spallanzani stende quindi una prima bozza di un suo saggio in forma di lettere scritte proprio a Needham perché, a questo punto del suo studio, appoggia la teoria dello scienziato inglese alimentandola con una serie di osservazioni condotte al microscopio nel corso della ripetizione degli esperimenti. Ne scrive anche all’amico e mentore Antonio Vallisneri jr., con il quale poi avrà notevoli contrasti:

Lazzaro Spallanzani ad Antonio Vallisneri, Reggio, 1 giugno 1761

[…] Impiego assai meglio questa stagione, essendo tutto occupato nel fare le infusioni di sostanze vegetabili e animali: e le dirà che in due, cioè nei semi di cucurbita, e di angurie vi ho trovati, mediante il fine microscopio del padre Benincasa, con mio sommo piacere i corpicciuoli guizzanti nel liquido a un dipresso come vengon descritti dal Needam: sicché fino ad ora non posso discordare da questo eccellente naturalista.

Si comincia a delineare qui una linea di pensiero propria di Spallanzani. Nel suo Saggio di osservazioni microscopiche concernenti il sistema della generazione dei signori Needham e Buffon infatti, pur appoggiando Needham, confuta la teoria esposta da Buffon secondo la quale il moule intérieur (lo “stampo interiore”) fa sì che, perfino in un infuso bollito e inserito in una fiala sigillata, le particelle della materia si riorganizzino e dopo un po’ la fiala “brulichi di vita”.

Gli esperimenti permettono a Spallanzani di rilevare anche corpicciuoli che si comportano in modi differenti, di cui vorrebbe parlare al Vallisneri ma per non appesantire le sue lettere gli comunica che tiene un diario delle osservazioni:

Lazzaro Spallanzani ad Antonio Vallisneri jr., Reggio, 16 giugno 1761

ho fatto il mio giornaletto, in cui non manco con la maggior esattezza di osservare quanto accade in essi ciascuno giorno: e a quest’ora mi è riuscito di marcare alcune notabili particolarità, che non trovansi nell’opera del Needham: onde spererei con un po’ di tempo non solamente di confermare quanto su questo è stato scritto da lui, ma anche di promuovere molto le sue scoperte. Ma il segreto sia ora tra Lei, e me.

Pochi anni più tardi sulla sua strada incontra le Considerations sur les corps organisés di Charles Bonnet.

Spallanzani entra in contatto con Charles Bonnet (1720-1793) nel 1765 proprio in seguito alla pubblicazione del Saggio di osservazioni microscopiche. I due avviano una corrispondenza che durerà decenni. Lo studioso reggiano è affascinato da Bonnet e da ciò che egli rappresenta, ovvero quel circolo di scienziati gravitanti intorno a Ginevra, città dove le sperimentazioni scientifiche sono ampiamente tollerate, crocevia fra Parigi, Amsterdam, Leida, Londra, Venezia e Torino, polo francofono in un mondo che, abbandonato il latino, ormai comunica in francese.

Charles Bonnet a Lazzaro Spallanzani, Ginevra, 14 settembre 1765

(Needham) mi scrive ancora, che è molto portato ad ammettere la congettura che ho indicato sulla generazione degli animaletti… Se vi prendete la pena di rileggere (le pagine che ho scritto a proposito) vedrete che vi ho insinuato che questi animaletti potrebbero moltiplicarsi per divisione, alla maniera dei polipi a grappolo. Questa congettura è sembrata felice al nostro amico: “Avete detto bene – aggiunge – che la generazione di questi esseri si fa per divisione; ma mi servirebbe una aggiunta di osservazione, tale quale la trovo nel Signor Spallanzani, per convincermi: mi restano ancora dei dubbi che si dissiperanno probabilmente meditando questo soggetto più a mio agio”.
E’ così, Signore, che voi siete riuscito a togliere la benda che copriva gli occhi del nostro dotto Confratello. Ciò che non avevo che abbozzato voi l’avete finito, e ciò che non avevo che intravisto, voi l’avete visto.

Nel frattempo Needham e Spallanzani si sono incontrati a Modena, ma non è più possibile conciliare le loro posizioni. Da più parti in effetti si stanno alzando voci che contrastano le teorie di Needham e di Buffon: fra di esse quella di Giovanni Battista Beccaria, come riporta lo stesso Spallanzani:

Lazzaro Spallanzani ad Antonio Vallisneri jr., 18 settembre 1765

Quanto al Needham, dopo che fu a trovarmi in Modana, e che poco dopo mi scrisse da Parma, nulla mai più ho saputo.[…] Io molto dubito che letti i miei capitoli sia stato poco contento che lo confuti, e che perciò non abbia voluto rispondere. Questo alquanto mi spiace, ma più mi spiacerebbe, se per aderire al sentimento di questo autore avessi tradita la verità. In ultimo poi conto più il perdere un amico per precisare il vero, che facendo altrimenti far torto all’intimo mio senso, e tirarmi adosso molti avversarii.
A buon conto oltre l’Università di Bologna, la quale senza alcun dubbio è la prima tra quelle d’Italia, posso dire di aver avuto il voto favorevole da migliori filosofi, e naturalisti italiani: e il Padre Beccaria Professore in Torino in una bellissima sua lettera scrittami mi significa che se le mie osservazioni abbisognassero di testimonianza altrui, egli stesso sarà sempre pronto in fornirla, mentre da dodici e più essendo stato chiamato dal Re Sardo a vedere le sperienze che gli faceva il Needham intorno agli animali microscopici, si credette in dovere di presentare al re un lungo scritto… in cui confutava apertamente il Needham. Questo bravo Padre nella sua lunga lettera, che veramente è dottissima mi accenna poi i capi delle confutazioni, ed ho avuto il piacere di vedere molti dei suoi capi a puntino quadrare co’ miei.

Charles Bonnet a Lazzaro Spallanzani, Ginevra, 9 ottobre (e 1 novembre) 1766

La Vostra bella lettera del 21 settembre, Signore, sebbene molto lunga, m’è sembrata troppo corta. Giudicate dunque del piacere che ho avuto a leggervi, e della mia riconoscenza dei vostri dettagli interessanti. Tutte le vostre osservazioni, tutte le vostre esperienze, tutte le vostre riflessioni provano ugualmente la vostra pazienza, la vostra sagacità e la vostra saggezza. Continuate come avete cominciato. Posso facilmente predire che il vostro nome sarà collocato accanto a quello di Redi e di Malpighi, vostri illustri compatrioti…

Il passo decisivo lo porta a comprendere che bisogna eliminare i microrganismi anche dall’aria contenuta nella fiala, non solo nel liquido. Negli esperimenti condotti fino a quel momento c’era dunque un difetto di fondo: “niente produzione autonoma di vita, insomma: solo cattiva metodologia di laboratorio” (Bencivenga, I passi falsi della scienza, p. 57).

Lazzaro Spallanzani

Epiloghiamo adesso, e diciamo, che suggellate ermeticamente le bocce, non s’impedisce, almen sempre, il natale degli animali, sien le materie bollite, sien queste crude, a condizione, che il corpo dell’aer chiuso non soffra oltraggio dall’ignea forza. Per lo rovescio compreso da questa, e investito gagliardamente, tal bestioluzze mai non s’ingenerano, qualora almeno non s’introduca nuov’aria dentro ai vaselli.

La vicenda della generazione spontanea è tuttavia destinata a durare ancora a lungo: ancora nella seconda metà dell’Ottocento il dibattito fra i sostenitori della generazione spontanea e i sostenitori della biogenesi, ovvero della nascita di forme viventi solo da altre forme viventi, è talmente acceso che l’Accademia delle Scienze di Parigi offre un premio a chiunque si dimostri in grado di presentare la prova definitiva.

Questa lunga strada disseminata di teorie, affermazioni, confutazioni, esperimenti e passi falsi trova finalmente la sua conclusione alla fine dell’Ottocento grazie all’intuizione di un chimico e biologo francese, Louis Pasteur (1822-1895).

Nel 1861 Pasteur idea dei “palloni a collo di cigno” nei quali inserisce un liquido organico che fa bollire a lungo.

Il vapore sterilizza anche l’aria del recipiente e l’aria contenuta nello stretto collo di cigno, tanto che il liquido rimane limpido a lungo.

A riprova che si tratti dell’intuizione corretta aggiunge un ultimo passaggio: fa scorrere il liquido fino all’imboccatura del collo di cigno, cosicché possa entrare in contatto con l’aria proveniente dall’esterno e con i microorganismi che si erano depositati fino alla prima “curvatura” del collo di cigno, più vicino all’uscita e l’esperimento dà i risultati sperati: il liquido fermenta. E’ questo l’ultimo tassello della teoria della biogenesi.

4. Il periodo pavese. La storia naturale e le ricerche

Nel 1769 l’ambasciatore della Lombardia austriaca, Carlo Firmian, chiama Spallanzani a ricoprire la prima cattedra di Storia Naturale presso l’Università di Pavia.

Negli stessi anni lo scienziato reggiano dà alla luce un’opera corposa, la traduzione in italiano della Contemplazione della Natura dell’amico e corrispondente Charles Bonnet (qui trovate il volume 1 e il volume 2) a cui aggiunge una quantità di note, osservazioni, postille da risultare pressoché un’opera a quattro mani.

Lazzaro Spallanzani ad Antonio Vallisneri, 24 marzo 1768

In Modena si sta stampando una traduzione italiana della Contemplazione della Natura del Bonnet. Sono io, che a tempo perduto fo questa traduzione, e forse l’arrichirò di note, e di giunte. Se non fosse tale opera del Bonnet non avrei mai, e poi mai preso questo impegno. Ma per lui farei tutto, giacché conto più sulla sua amicizia, e sapere, che sopra quello di tutti quegl’italiani

Ma le note aggiunte dal reggiano, coerentemente con la sua figura e il suo rigore scientifico, mancano di osservazioni “metafisiche”: Spallanzani non specula su ciò che osserva e non giunge a conclusioni che non siano basate sulla pura osservazione. Questo “difetto”, perché tale è ancora considerato da alcune frange di pensiero, diventa il terreno di scontro che determinerà la rottura con Antonio Vallisneri jr.

Lo stesso Bonnet, divenuto nel tempo quasi cieco, si appoggia sempre più all’aspetto speculativo e filosofico del suo operato ma il rispetto reciproco ormai instauratosi fra lui e Spallanzani e la piena concordanza in campo sperimentale fa sì che quest’ultimo semplicemente lasci cadere, passandole sotto silenzio, le suggestioni filosofiche dell’amico francese.

Nel frattempo prosegue nelle sue ricerche, come è sua intenzione personale e come è suo dovere in quanto professore:

Lazzaro Spallanzani a Joseph von Sperges, marzo 1776

Mi sono determinato ad intraprendere, seguire e compiere questo mio, qualunque siasi, lungo lavoro [la pubblicazione degli Opuscoli di Storia Naturale, n.d.r.] per ubbidire alle leggi del Piano di Disciplina di questa Regia Università, che insinuano ai professori di prodursi di tempo in tempo con la pubblicazione di qualche libro

Focus: microcosmi e macrocosmi

Fra i corrispondenti di Spallanzani c’è Giuseppe Toaldo, amico comune a lui e a Bonaventura Corti: quest’ultimo aveva fatto da tramite fra loro per lo scambio di testi e studi. Toaldo, vicentino, era professore di Astronomia, Geografia e Meteorologia e fu il fondatore dell’Osservatorio di Padova, nel 1767. Alla lettura dello scritto inviatogli da Spallanzani, fresco di stampa (Osservazioni, e sperienze intorno ad alcuni prodigiosi animali…) Toaldo risponde che, pur non essendo pratico delle materie di studio dell’amico, capisce “il maestro nel maneggio delle medesime, e vi scorgo il filosofo di buon gusto, colto, erudito, quando negli episodi prende a ragionare occasionalmente sopra argomenti e quistioni affini al trattato, come fa l’uomo che non è limitato a piccola sfera” e prosegue, da astronomo: “Ora, quale stupore non desta questa infinità di mondi invisibili, infinitesimali tutti viventi e organizzati!

Giuseppe Toaldo a Lazzaro Spallanzani, 1 settembre 1776

Certo questa serie discendente non è meno maravigliosa che la serie ascendente de’ nostri mondi e sistemi, tendenti all’immenso”

Focus: i fossili

Nelle sue esplorazioni naturalistiche Spallanzani si imbatte sovente in calcari organogeni, ovvero formati da resti di crostacei, molluschi e altri organismi, a volte di molte specie differente, a volte addirittura non più presenti nei mari vicini o più prossimi al sito di ritrovamento.

Nel 1784, scrivendo a Bonnet a proposito degli animali fossili non più esistenti nei mari vicini, ipotizza che si possa trattare di specie autoctone più antiche che per varie cause, sia per l’intervento umano sia per il mutare di altre condizioni, non possono più vivere negli ambienti marini più prossimi al sito di ritrovamento dei resti fossilizzati.

Quando  Giovanni Serafino Volta (1754-1842), naturalista mantovano che studia approfonditamente i fossili di pesci e di conchiglie, pubblica l’Ittiolitologia veronese – data alle stampe a partire dal 1789 – Spallanzani se ne informa ma, scrivendo nel 1793 all’amico Domenico Testa (1746-1832), sacerdote e docente, ne rifiuta le tesi.

Spallanzani, a differenza di Volta, è molto cauto: non vuole essere precipitoso nel dare nomi a fossili di pesci, anche piuttosto rovinati, di cui non è certa l’origine.

Lo scienziato scandianese ha una possibilità di indagine trasversale intorno alla questione dei fossili che forse lo stesso Testa non possedeva: lo studio della vulcanologia. I fossili presenti nel Museo di Storia Naturale di Pavia e del Castello di Scandiano (MO), provenienti dal veronese, appartengono a specie adatte alla vita in acque calde ma non possono derivare da mari esotici asiatici o americani ed essere stati trasportati fin lì da calamità naturali.

Appoggiandosi ai propri studi condotti sui vulcani, Spallanzani concorda con Testa sul fatto che questi pesci esotici, come altri dei nostri giorni, avessero bisogno del calore, e che quindi potessero provenire dalle acque scaldate da conformazioni vulcaniche ma individua la possibile fonte di calore in una conformazione vulcanica molto più prossima ai ritrovamenti: il monte Bolca veronese. Spentasi l’attività del vulcano e raffreddatesi le acque il mutamento delle condizioni condusse rapidamente questi pesci “esotici” all’estinzione: lo studioso riconduce il loro seppellimento all’eruzione di questi stessi vulcani che ne avevano permesso la vita e appoggia la sua ipotesi sugli studi che nel frattempo stava conducendo proprio in ambito geologico.

Lazzaro Spallanzani a Domenico Testa, aprile 1793

La sua ipotesi […] che i pesci del Bolca in supposizione che abbisognato avessero per vivere del calore della zona torrida, abbian trovato tal calore presso detto monte, per essere allora ardente, non solo a me sembra ingegnosa, ma verissima, in quanto che i pesci vivono meglio, e più abbondantemente attorno a questa montagna ignivoma, che in lontananza da lei, a motivo sicuramente del calore che all’acqua comunica

5. L’eredità di un libero pensatore

Vincenzo Ferrone (professore di Storia Moderna – Università di Torino), Scienza ed emancipazione. Rivoluzione scientifica e illuminismo nell’Europa moderna, conferenza tenuta presso la Fondazione Collegio San Carlo il 10 ottobre 2014

Spallanzani si dedica sistematicamente a incrementare le collezioni scientifiche del Museo di Storia Naturale di Pavia attraverso acquisizioni di materiali vegetali, minerali, animali e umani da quasi tutta Europa (Ungheria, Boemia, Transilvania), supportato in questo da un suo corrispondente e fervente ammiratore delle sue ricerche, il barone tirolese Joseph von Sperges (1725-1791). Alcuni di questi materiali vengono ricevuti in regalo, altri sono acquistati o reperiti personalmente da Spallanzani durante i suoi viaggi in tutta Italia, in Svizzera, in Francia, nell’Europa orientale o in Turchia. Per essere esposti i materiali vengono catalogati, così che possano essere fruibili in modo chiaro.

La pubblicazione delle opere di Lazzaro Spallanzani e soprattutto del suo ricchissimo carteggio permette oggi di gettare uno sguardo sulla vastità dei suoi interessi e l’intensità dei suoi rapporti con i corrispondenti europei, una vera e propria rete di pensatori in buona parte indipendenti.

Negli ultimi anni rimarrà di stanza nella città che lo ha accolto come scienziato maturo. Quando si spegne, a Pavia, è il febbraio del 1799.

La sua eredità è ricchissima. Fra i molti che gli hanno tributato omaggi si annoverano, come ci si poteva aspettare, anche gli allievi di quel Collegio San Carlo di Modena che lo aveva accolto tanti anni prima. Fra di essi spicca un’altra mente illuminata destinata a sua volta ad avere un ruolo nella divulgazione delle scienze: Leonardo Salimbeni.

Focus: Spallanzani e il Collegio San Carlo

Leonardo Salimbeni traccia un profilo di Spallanzani scienziato, profondamente coinvolto negli studi così come nella fitta corrispondenza con altri colleghi in ogni angolo d’Europa: ne emerge un quadro vivace, sostenuto dalla conoscenza degli scritti editi ma soprattutto della messe di carte, appunti e carteggi inediti, nonché della consapevolezza della centralità della breve ma intensa parentesi vissuta dall’abate di Scandiano presso il Collegio San Carlo a Modena. Coinvolto a sua volta in approfondimenti di carattere scientifico, Salimbeni individua nell’opera del grande maestro anche i fondamenti dei suoi interessi sulla teoria dell’evoluzione.

Leonardo Salimbeni, L’abate Lazzaro Spallanzani, 1879

[p. 25] Quale meraviglia non sorgerà in noi nel trovare in quelle carte del profondo pensatore e filosofo perfino toccati quei fatti che costituiscono le fondamenta della moderna teoria Darwiniana, come le alterazioni degli animali nello stato di domesticità, l’ereditabilità delle modificazioni, il cangiamento delle specie per cui ne sono nati dei generi?